Una questione da sempre aperta, resa più che mai attuale negli ultimi 3 anni, con l’intensificarsi dello Smart Working.
Il work life balancing è avvertito come priorità, una ricerca di equilibrio necessaria per mantenere il proprio benessere mentale e – al contempo - ottimizzare le proprie performances sul lavoro, innescando un circolo virtuoso di motivazione.
DI COSA SI TRATTA?
Facciamo un passo indietro: con l’espressione work life balancing intendiamo letteralmente il mantenimento dell’equilibrio tra lavoro e vita privata.
Insomma, è ciò che scongiura il pericoloso fenomeno del burnout, dovuto a carichi eccessivi di lavoro e dall’incapacità di “staccare la spina”.
Nonostante sia un concetto di lontana origine, con la pandemia (e quindi lo smart working) il work life balancing ha acquisito sfumature differenti, dovute a una più profonda e tangibile consapevolezza: la flessibilità, l’essere costantemente raggiungibile rende difficile delineare un confine tra lavoro e vita privata.
Il rischio? Essere sempre online, sempre reperibile implica un’invasione della propria sfera personale, il dover pensare al proprio lavoro anche nei momenti di riposo o ferie.
Questa consapevolezza che ha portato anche una traslazione di responsabilità: dovrebbe essere responsabilità delle aziende attivarsi, mettere in atto una serie di politiche finalizzate a fornire il giusto supporto ai dipendenti.
WELFARE AZIENDALE: UNA POSSIBILE SOLUZIONE
Uno strumento prezioso per mantenere un buon equilibrio sfera lavorativa/personale è lavorare per aziende che abbiano un collaudato sistema di welfare, definizione che include l’insieme di benefit, soluzioni e iniziative adottati dall’azienda/datore di lavoro, finalizzate al miglioramento della sfera psicofisica e lavorativa del dipendente.
Preoccuparsi per il benessere dei propri dipendenti, garantendo flessibilità oraria, benefit ecc., rappresenta – per le aziende - una sfida che però ripaga nel medio e lungo periodo in termini di produttività, ma anche di reputazione aziendale.
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